La
neve se n'era andata quasi del tutto portandosi via quella luce
particolare che le piaceva guardare dal letto. Si stendeva al buio e
lasciava vagare lo sguardo immaginando che due linee luminose le partissero
dagli occhi e s'allargassero sul prato bianco, per ritornare indietro
cariche di un pulito nuovo, che faceva bene all'anima.
Amava la
luce e la voce della neve. O la non-voce, perché il silenzio era
così compatto che sembrava fermasse l'aria, e le faceva anche un po'
paura.
Così doveva essere anticamente: la natura che sovrasta l'uomo
e lo fa riflettere. E cercare qualcosa al di fuori di sé, uno
spirito, forse un Dio. Degli uomini e delle cose.
Certe
volte usciva a camminare nella notte. Non c'era altro rumore che il
suo passo sulla neve secca. Uno scricchiolio leggero, uno sfregamento
di fiocchi che si comprimevano sotto il suo peso. E la sensazione di
essere sola al mondo in quel silenzio strano, non
riproducibile, senza odore.
Si
sceglieva i percorsi, per non pesticciare disordinatamente il bianco.
E al ritorno appaiava le stesse impronte dell'andata, accanto, punta
tacco, tacco punta, perché nella vita, comunque vadano le cose, c'è
sempre un'andata e un ritorno, e l'uno e l'altro devono essere
armoniosi.
Ma
quel giorno la neve, fradicia dal pomeriggio, impozzangherava i
prati.
Quella
notte avrebbe chiuso le tende.
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