Il quadro a olio era un nudo di spalle, androgino, vagamente diavolesco
e subdolo sia nella posizione che nella non
dichiarata definizione del sesso. Le mani morbide, quasi lievitanti
da braccia muscolose e disegnate con tratto fermo e michelangiolesco,
avevano unghie appuntite, mefistofeliche e si protendevano in una
posizione che poteva essere d’offerta o di richiesta,
indifferentemente.
Il
sedere era troppo tondo per essere maschio. L’anca s’incurvava scaricando il peso del corpo sulla gamba sinistra che
scompariva dietro a quella in primo piano e lo sbilanciamento creava
una torsione, un’inclinazione vezzosa che smentiva la prestanza
delle spalle, la forza del collo e la sfericità della testa,
totalmente senza capelli, da sala d’anatomia.
Era
un dipinto inquietante per la chiarezza della sfida e il dualismo
dell’immagine. I lineamenti e una parvenza di sguardo
erano negati dal volgere della testa verso lo scuro abissale del
fondo, nel quale la figura si integrava e si staccava, come se al di
là ci fosse un orizzonte diverso, una visione misteriosa per la
quale convenisse dare le spalle all’osservatore.
Il
dubbio del pennello aveva creato con chiaroscuri una specie di
canottiera, che denudava invece di coprire e che sembrava generata
dalla pelle stessa, tanto era impossibile stabilire la benché minima
linea di demarcazione fra il corpo e la stoffa, che s'immaginava
impalpabile e viva.
Quel
quadro emblematico, l'aveva sempre affascinata, perché identificava
i nodi della sua esistenza e faceva emergere le sue angosce. Pensava
che anche da quella testa da tavolo di anatomia, così come dalla
sua, potesse realmente scaturire il pensiero di dare le spalle alla
realtà e lasciarsi inghiottire dal buio definitivo del fondo.
Ma poi si rese conto che quel nudo aveva anche un non so che
di beffardo, notò come l’ancheggiare fosse irritante, il neo sulla
guancia provocatorio e l'ambiguità del sesso sconveniente.
E fu lei a girargli le spalle.
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